La malattia di Schmallenberg varca il confine

È da poco stato segnalato in Italia il primo caso di malattia di Schmallenberg (SBV), nome derivante dalla località tedesca dove è avvenuta la prima segnalazione. La prima specie in Italia nella quale è stata rinvenuta è proprio la capra, specie recettiva come gli ovini ed i bovini della patologia in questione. 

Si tratta di un affezione virale, fino ad ora sconosciuta, il cui agente eziologico è stato provvisoriamente classificato nel Sierogruppo Simbu appartenente alla famiglia dei Bunyaviride, genere Orthobunyavirus, che comprende 25 virus capaci di infettare i ruminanti ed alcuni di questi in grado di infettare l’uomo. Il genoma degli Orthobunyavirus presenta un segmento S, simile a quello del virus Shamonda, un segmento M, simile all’omonimo del virus di Aimo ed un segmento L, simile all’analogo presente nel virus di Akabane. 

La malattia colpisce bovini, ovini e caprini attraverso, si presume, l’attività di vettori appartenenti alla famiglia dei Culicoides, nei quali è stata confermata la presenza del virus, ma è stata dimostrata anche la trasmissione verticale transplacentare. La trasmissione avrebbe luogo durante il periodo tarda estate-autunno, durante il quale sono stati mostrati i sintomi prevalenti e la viremia, da alcuni dati sperimentali,durerebbe 6 giorni. 

I sintomi variano in relazione all’età del soggetto colpito e alla specie di appartenenza. Nei capretti, negli agnelli e nei vitelli: atassia (perdita di coordinazione muscolare), torcicollo, paralisi, atrofie muscolari, brachignatia (ipoplasia mascellare inferiore), cecità ed alterazioni del sistema nervoso sembrano essere i segni clinici preponderanti. I feti invece possono presentare ipoplasia cerebrale, idranencefalia (assenza degli emisferi cerebrali), artrogrifosi, deviazione del rachide, mummificazione e deformità. 

Nei bovini adulti, invece, i sintomi sono rappresentati raramente da diarrea e più frequentemente da abbattimento, anoressia, ipertermia (40°C) e calo improvviso delle produzioni (anche fino al 50%); negli ovini adulti il sintomo più frequente è rappresentato da aborto e natimortalità. 

La diagnosi è possibile attraverso PCR, isolamento virale, siero neutralizzazione e immunofluorescenza. In caso di sospetto devono essere intraprese una serie di attività tra cui il censimento e il rintraccio degli animali della medesima azienda in cui si trova il caso sospetto, il prelievo di campioni, le catture entomologiche di Culicoides, il censimento e la visita clinica dei ruminanti presenti nelle aziende distribuite nel raggio di 4 km dall’azienda nella quale è stato rilevato il caso sospetto. 

Ogni sospetto dovrà essere tempestivamente segnalato dal Servizio Veterinario competente all’Ufficio III della Direzione Generale della Sanità Animale e dei Farmaci Veterinari e al CESME e registrato sul Sistema Informativo Malattie Animali Nazionale (SIMAN). Tutti i campioni prelevati nelle aziende in cui si sia manifestata sintomatologia sospetta, riferibile ad infezione da virus Schmallenberg, devono essere inviati al CESME che effettua la diagnosi diretta ed indiretta di tale malattia. Nel caso di conferma del sospetto è necessario confermare il caso sul SIMAN, effettuare l’indagine epidemiologica al fine di accertare l’origine dell’infezione ed effettuare il prelievo di sangue su tutto l’effettivo dell’allevamento. 

Bisogna porre particolare attenzione ad eventuali patologie riscontrabili in categorie professionali (allevatori, veterinari, ecc)  che sono spesso a contatto con animali sensibili all’infezione (specialmente animali importati dalle zone interessate da circolazione virale). 

Le informazioni riportate, ottenute dal sito dell’Istituto Zooprofilattico di Teramo “G.Caporali”, non vanno sottovalutate ma al tempo stesso non devono creare inutili allarmismi. Gli allevatori hanno il diritto e l’obbligo di informarsi su tutto ciò che verte attorno alla loro attività, poiché il loro ruolo è fondamentale nel coadiuvare i servizi veterinari nazionali ed i colleghi liberi professionisti che operano nel settore. Ancora nessuno si è espresso sulla possibilità che la malattia si trasmetta anche per via iatrogena, per cui il mono uso è d’obbligo, e dovrebbe esserlo sempre, quando si opera nel settore dell’allevamento.

Al prossimo aggiornamento

Dr. Edoardo Sanfelice di Monteforte
Medico Veterinario